Stefano Canto/POLISIDRO
Qual è il principio che governa l’evoluzione della metropoli contemporanea? E quale ruolo spetta all’artista che sceglie di indagarne, comprenderne e archiviarne la fenomenologia? È a partire da questi interrogativi che Stefano Canto torna ad attraversare Milano, città nella quale nel 2016, durante una residenza a Viafarini, ha inizio la sua lunga ricerca intorno all’archeologia dell’effimero. L’artista assimila da Marc Augé il concetto di un eterno presente, sostituibile all’infinito, quale principio generatore dell’esistenza contemporanea, e attraverso di esso osserva Milano come ideale produttrice di una architettura dell’effimero. Intrappolata nel flusso forsennato del presente che non lascia tempo né alla formazione del passato né tantomeno all’immaginazione del futuro, la metropoli contemporanea, intrinsecamente effimera, non è più in grado di generare rovine; quella che Augé definiva “eternità di un sogno di pietra” viene sostituita da un ammasso di sedimenti precari.
Nella mostra intitolata Polisidro - un’ironica ibridazione tra polis e idro - Stefano Canto mette in scena un processo paradossale, dando corpo e forma alla natura mutevole di Milano. L’acqua, simbolo prediletto di una contemporaneità liquida, e il cemento, emblema della corsa architettonica del XX secolo, sono i materiali che l’artista sceglie di combinare all’interno di Spazio Gamma. Disponendo sul pavimento cumuli di cemento a presa rapida e sovrapponendovi sfere di ghiaccio contenenti pigmenti e ossidi di pietra nera, genera un microcosmo che si trasforma lentamente sotto lo sguardo del visitatore. I solidi di ghiaccio, forme architettoniche dalla temporalità circoscritta, imprimono un segno sulla massa informe del cemento, producendo una serie di interferenze, chimiche e semantiche, tra organico e inorganico, naturale e architettonico. Alla fine del processo di scioglimento, come un archeologo a lavoro nel cantiere di scavo, l’artista rimuove la polvere in eccesso e libera da ciascuno dei cumuli forme scultoree dalle fattezze di un cratere vulcanico. Il paesaggio che abita la galleria è solcato dalla presenza di un’imponente costruzione: un modulo di archivio progettato per accogliere i reperti prodotti, o forse rinvenuti, nel corso della mostra. Ecco allora che la galleria diviene contemporaneamente laboratorio dell’artista, scavo archeologico e luogo di archiviazione e studio dei reperti.
In un tempo caratterizzato da una radicale smaterializzazione della memoria, storica e architettonica, che sembra rendere impossibile qualunque processo di stratificazione, all’archeologo non spetta più il compito di rinvenire le tracce di tale storia. Egli deve invece immaginare e produrre i reperti della città liquida ma non può che farlo avvalendosi del metodo aleatorio dell’artista. A completare tale processo interviene poi il visitatore che, attraversando lo spazio, osserva e indaga il reperto nei diversi stadi della sua formazione, ricostruendo i frammenti del complesso dispositivo di produzione di senso messo in scena da Stefano Canto
VASCO FORCONI.
What is the principle that governs the evolution of a contemporary metropolis? And what is the role that pertains to the artist that chooses to investigate, understand and archive its phenomenology?
By starting from these queries, Stefano Canto crosses Milan once again, the same city that prompted - during a 2016 residency at Viafarini - the starting point of his extended research on the body of work Archeology of the ephemeral. The artists identifies Marc Augé’s concept of an infinitely replaceable and eternal present, as the cornerstone of contemporary exhistence. Through this lens, Canto identifies Milan as the ideal generator of an architecture of the ephemeral. Trapped in the frenetic flux of the present, one that denies time for the formation of the past and the imagination of the future, the contemporary metropolis - intrinsically ephemeral - is no longer able to generate ruins. What Augé defined as ‘the eternity of a dream made of stone’ is substituted by a cluster of precarious sediments.
In the exhibition titled Polisidro - an ironic hybridisation between polis and idro - Stefano Canto presents a paradoxical process, giving form and body to the mutable nature of Milan. Water, the chosen symbol for a liquid contemporaneity, and cement, the emblem of the architectural race of the 20th Century; are the materials chosen by the artist to be combined within the spaces of Spazio Gamma. By placing heaps of quick-setting cement and subsequently adding upon them ice spheres containing pigments and black rock oxides, the artist creates a microcosm that slowly transforms before our eyes. The solid ice shapes - architectural forms of limitate timeframe - imprint their mark on the shapeless mass of cement, producing a number of interferences both chemical and semantic, organic and inorganic, natural and architectural.
Subsequent to the ice melting process, much like an archeologist working on an excavation site, the artist removes all the cement powder excess, freeing the sculptural forms from each volcanic crater-like heap. The landscape inhabiting the gallery is furrowed by the presence of an imposing structure: an archival shelf module designed to hold the finds unearthed and produced throughout the exhibition. Through this process the gallery space simultaneously coexists as an artist studio, an archeological excavation site and an archive for the observation and cataloguing of the artifacts.
In a timeframe characterised by a radical dematerialisation of our historical and architectural memory, which seems to render all attempts at stratification impossible, the archeologist isn’t
called to the traditional feat of unearthing the traces of history. Instead, he must imagine and produce the artifacts of the liquid city; in doing so he must rely on the loose methodology of artistic practice. Intervening to complete the process is the visitor, who by crossing the space observes and investigates the diverse formation stages, reconstructing the fragments of a complex device structured by Canto for the production of meaning