GAMMATALK: 'IL CAPITALE IGNORANTE' DI MARCO MENEGUZZO

►►►►STEFANO NON INTERVISTA MARCO MENEGUZZO SUI TEMI DE 'IL CAPITALE IGNORANTE' (Johan & Levi editore)◄◄◄◄

L’ascesa di un collezionismo incolto, privo di un’adeguata conoscenza del proprio oggetto, attratto unicamente dal consenso, sensibile ai diktat del marketing e del gusto globalizzato, sta trasformando radicalmente il linguaggio dell’arte a scapito della sua autonomia. Marco Meneguzzo narra i cambiamenti intervenuti nello spirito del tempo, nel gusto del collezionismo, nel sistema di diffusione dell’arte e in ultima istanza nell’arte stessa. Il tramonto delle avanguardie e del dibattito intellettuale che ne costituiva l’humus sociale ha provocato un radicale appiattimento del gusto e il trasferimento del piacere e dello status del collezionismo – che del gusto è l’incarnazione, la visualizzazione plastica – dalle regioni e ragioni della cultura al territorio, indifferenziato ma misurabile, della ricchezza. Da oggetto misterioso per pochi bizzarri estimatori l’arte è diventata oggi uno status symbol: che si tratti di tycoon, calciatori o mogli di industriali, i nuovi collezionisti sono guidati da conformismo e prediligono opere-trofeo con l’unico scopo di testimoniare la propria appartenenza non più a una élite di conoscitori, ma al club esclusivo delle personalità influenti. Se l’artista, nell’immaginario ancora tardoromantico dell’Occidente, rappresenta l’essenza della libertà, una figura alla quale la società demanda un pensiero che può esprimersi senza vincoli, persino antagonista ed eversivo rispetto alla società stessa, tale prerogativa sta però cedendo il passo a una nuova fondamentale caratteristica: la riconoscibilità. L’immissione di fiumi di denaro nel circuito dell’arte ne ha alterato il sistema valoriale, facendo delle gallerie – o delle fondazioni che fanno capo a un unico proprietario, come quella di François Pinault – i garanti quasi esclusivi della qualità di un’opera, quando in un tempo non troppo lontano il reclutamento degli artisti e il giudizio sul loro lavoro era piuttosto il prodotto di una sinergia tra critico, gallerista e collezionista. Scomparsi gli ammortizzatori culturali che consentivano all’artista una maturazione lenta e strade alternative per trovare un posto nel sistema, le sue possibilità di affermazione dipendono oggi dal diventare velocemente un fenomeno internazionale, scelto da uno dei ristretti gruppi di potere in grado di decretare la sua «esistenza in vita» nella società globale. In un mondo che vive di semplificazioni sempre più marcate, e di una sempre minore capacità e volontà di diversificare e analizzare, appare chiaro come il potere contrattuale dell’artista sia parecchio limitato, sostituito da un atteggiamento remissivo, diplomatico e politico, per nulla rivoluzionario e neppure blandamente innovativo. Dal momento che le regole stabilite dal sistema non lo contemplano come attore ma come merce, come «materiale umano» senza possibilità di voto, l’artista cercherà, anche inconsciamente, di adeguare le sue opere ai dettami del gusto suggeriti – o meglio sarebbe dire imposti – dai pochi realmente in grado di renderlo famoso. In gioco c’è un mutamento radicale del concetto stesso di arte, attraverso il deterioramento della sua capacità di suscitare pensieri innovatori e progressisti e il suo spostamento nella più vasta categoria dello spettacolo.


Marco Meneguzzo (1954) è critico d’arte, curatore indipendente e docente all’Accademia di
Belle Arti di Brera a Milano, dove insegna Storia dell’arte contemporanea e Museologia e
gestione dei sistemi espositivi. Nel corso degli ultimi quindici anni ha viaggiato a più riprese in
Cina, India e Russia per conoscere la situazione degli artisti, del gusto e del sistema dell’arte
nei paesi emergenti, continuando contemporaneamente ad approfondire motivi e moventi della
storia dell’arte occidentale


6 commenti

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  • utile e bello !

    Roberto Remi

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