FANTASTIC COSMOS
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Texts by Irene Biolchini, Show Curator.
Io parlo ai muri, si intitola cosi’ il testo nato dal ciclo di conferenze che Lacan tenne tra il 1971 e il 1972 per gli specializzandi dell’Ospedale Saint-Anne. Lo stesso ospedale in cui, molti anni prima, proprio un giovane Lacan aveva iniziato a lavorare.
L’occasione potrebbe essere quella dell’auto-celebrazione, del bilancio di carriera. Al contrario, Lacan rinuncia a teorizzazioni rafforzative e si sposta invece a combattere il grande nemico dell’epoca: la fascinazione per il non sapere. Per farlo, svolge la sostanziale distanza tra sapere e verita’. Lo fa ribadendo ancora una volta che l’inconscio e’ per noi un sapere-insaputo, dotato di un suo linguaggio, distante dalla verita’. Il sintomo e’ fondamentale: e’ mettendo in parola il sintomo che stabiliamo i confini del valore di verita’ del nostro discorso, cioe’ di quanta porzione del nostro discorso sia vera e quanta falsa. Il sintomo non e’ la verita’, ma e’ uno strumento.
Moltissimo si e’ scritto in questi mesi su come la pandemia abbia evidenziato i sintomi di un sistema che mostrava gia’ da tempo le sue falle, acuendo le diseguaglianze sociali, evidenziando il costo della privatizzazione progressiva e selvaggia. I grandi centri urbani europei, abbandonati dai turisti, hanno mostrato i limiti di una politica culturale ridotta alla “vetrina” per sguardi rapidi e veloci, associando pericolosamente produzione e consumo culturale. Un processo giu’ denunciato da Lefebvre che definendo le possibilita’ dell’urbano arrivava a definire le tre categorie di: isotopia, un ambiente urbano e il suo costituirsi come stesso luogo riconoscibile; l’eterotopia, il contrasto marcato tra piu’ abitanti dei luoghi, mediante una continuita’ spaziale data da suture; l’utopia, uno spazio non piu’ legato ad alcun «immaginato astratto», ma reale, legato ad una verticalita’ che spinge verso il divino, il cosmo, ma anche - per opposto - verso l’abisso, il sotterraneo. Uno spazio fisico che e’ «contraddizione concreta», presupponendo la «concentrazione di tutto cio’ che c’e’ nel mondo, nella natura, nel cosmo».
La contraddizione, l’accumulo sono alla base anche del lavoro di Stefano Non che propone qui un generatore di energia, una presa di corrente che non prende ma da’, il tutto ai termini di accettazione del costo; o come suggerisce il video che visualizziamo avvicinando il cellulare alle prese “Watch out where power really comes”. Il potere della Black Church e’ assoluto, come il culto della Dea Atalanta raccontato nel podcast che accompagna la mostra e che recita: “Prendere o lasciare, noi abbiamo preso e a volte le prendiamo”. Un racconto, quello del podcast, che descrive una giornata di violenza, fuori dagli stereotipi associati al luogo-stadio, un percorso in cui l’eterotropia si palesa nello scontro fisico, in cui anche la retorica della ribellione utopica viene spazzata via, «la ribellione e’ l’unica dignita’ dello schiavo» canta, tra le digressioni del podcast, Lord Bean in Quale ordine. Con la violenza, che attacca convenzioni e credi di bandiera, si torna alla “ritualita’ carnale” del corpo, unica risposta all’impossibile “ritorno alla terra” della societa’ che ci circonda. Space Powered by Non segue una logica non diversa: un totem brutalista che crea antimateria, ovvero il contrario della materia, la sua antitesi. L’antimateria, cosi’ come l’utopia di Lefebvre, non e’ un’idea vagheggiata, ma una componente fondamentale della realta’ composta appunto dalla materia e dal suo opposto. La struttura che campeggia al centro dello spazio allude ai sistemi ipertecnologici adottati per la produzione di anti-materia, ma lo fa con uno scarto, o come dichiara l’artista stesso:
In sostanza io gioco sporco: la fisica finora e’ riuscita con sforzi enormi a produrre minime quantita’ di antimateria da far scontrare con la materia per generare energia con un rendimento pazzesco, l’annichilazione della materia con l’antimateria produce circa 70 volte l’energia prodotta dalla fusione nucleare dell’idrogeno in elio e quattro miliardi di volte l’energia prodotta dalla combustione del petrolio, ma per produrne un grammo costa 25 miliardi di dollari. La BC Energy company ne ha prodotto un kilo, sufficiente a fornire energia a tutto l’isolato per tutto il tempo della mostra.
E’ vero, succedera’.
Stefano Non genera nuova energia per un quartiere, quello di Isola, da anni simbolo della creativita’ milanese, spesso comunicata attraverso stereotipi hypster e generalizzazioni. L’antitesi di questa rappresentazione urbana si incarna in Spazio Gamma: un luogo in grado di produrre energia ridiscutendo le basi del dialogo attorno al contemporaneo: non piu’ evento, ma progressiva costruzione umana di collaborazione delle parti e delle persone coinvolte in ogni presentazione, mostra, programma. Anche in questo caso lo scambio con east Contemporary e’ stato fondamentale per un’autentica condivisione di visioni ed obiettivi.
Lo slancio oltre lo stereotipo, la discussione della realta’ stessa, passa per la materia e il suo contrario; per l’urbano - inteso come regolamentazione di gruppi sociali - e il suo opposto. Una visione in cui «buono e cattivo», che sono «categorie umane» non esistono piu’, o per lo meno si aprono alla discussione delle loro divisioni semplicistiche. La stessa ridiscussione che porta avanti anche Vasiliy Sumin nell’installazione Station YE5 in cui uno scienziato evidenzia gli elementi di continuita’ tra l’estrema periferia russa, lo sviluppo di forme di vita terrestri e il continuo evolversi del cosmo. Elementi tutelari del paesaggio di Nizhny Arkhyz - il villaggio nel Caucaso dove il video di Sumin e’ stato girato - sono due telescopi giganti, i piu’ grandi mai realizzati in epoca moderna e detentori del primato fino al 1993. Attorno a questi due elementi-simbolo si e’ costruita una comunita’ di scienziati a stretto contatto con i dissidenti, che nella regione remota cercavano uno spazio per la propria indipendenza. Il villaggio di Nizhny Arkhyz diventa quindi il pretesto per ridiscutere le categorie sociali della Russia moderna e contemporanea, i suoi dispositivi di comunicazione e socialita’. Ecco allora che le parole dello scienziato - protagonista del video - si sposano con l’ipotetico dialogo tra i due telescopi e le stelle, il tempo infinito del Cosmo ci parla del tempo ciclico della natura, i ritmi e le regole della socialita’ vengono sottoposte al vaglio del loro opposto: del silenzio, della solitudine, dell’osservazione. Il tutto votato all’altare di un’energia che non e’ piu’ quella intesa e conosciuta sulla terra, ma un’energia oscura che, indisturbata, continua ad agire nell’espansione del cosmo. Ecco dunque che la visione del grande (i due telescopi), dell’indefinibilmente grande (il cosmo ascoltato dai telescopi), del piccolo (l’individuo) e del microscopico (le spore nei boschi) convivono in un racconto in cui siamo perennemente sospesi, in cui il giudizio sulla modernita’, la socialita’ e le sue forme viene continuamente ridiscusso e problematizzato: lo spazio che ci circonda si estende ed assume nuovi significati solo se posto in dialogo con il Cosmo. Ritorniamo quindi a Lefebvre e alla sua idea di “utopia”, presente nell’incredibilmente alto e distante, ma anche nel profondo, nel sotterraneo.
Dal sotto-mondo arriva anche l’alligatore di Marco Ceroni: una coda mostruosa costruita dal ricordo di un copertone lacerato sulla strada. Nel gergo tecnico, la parte interna degli pneumatici - quella preposta ad assorbire gli urti e i carichi - viene definita “carcassa”. E cosa e’ la coda che vediamo davanti ai nostri occhi se non la carcassa, il resto, di un animale che non si puo’ mostrare nella sua interezza? L’alligatore delle leggende metropolitane e’ qui rievocato dal titolo, Lacoste: riemerge dal sottofondo, mostra il suo fascino repellente. In Lacoste ritroviamo l’idea lacaninana del godimento, come qualcosa di connesso all’animalita’, alla distruzione e consumo dell’oggetto di cui si gode. In breve il godimento, vero motore della societa’ consumistica allusa dal titolo, si materializza nella coda dell’alligatore-copertone. Un essere a meta’, di cui possiamo solo immaginare l’interezza, che permette di ribaltare l’idea di “bene e male”, di “bello e di brutto”, di realta’ e fantastico.
Con questi artisti siamo davanti ad un’idea del fantastico che viene sottoposta al suo contrario: il concreto. E se nella realta’ materia e anti-materia si annientano (generando energia), in Fantastic Cosmos concreto e fantasia danno vita ad una ricerca che supera le definizioni di arte partecipata, impegnata, sociale, radicale per spostarsi in un terreno ancora incerto, ma foriero di nuove energie creative, una «contraddizione concreta» come avrebbe amato definirla Lefebvre.
Io parlo ai muri, is the title of the text born from the cycle of conferences that Lacan held between 1971 and 1972 for the residents of the Saint-Anne Hospital. The same hospital in which, many years earlier, a young Lacan had begun to work.
The occasion could be that of self-celebration, of a career balance. Instead, Lacan renounces reinforcing theorizations and moves to combat the great enemy of the time: the fascination for not knowing. So, he unfolds the substantial distance between knowledge and truth. He reiterates once again that the unconscious is for us a knowledge-unknown, skilled with its own language, distant from truth. The symptom is fundamental: it is by putting the symptom into words that we establish the borders of the truth value of our discourse, that is, how much of our discourse is true and how much false. The symptom is not the truth, but it is an instrument.
A lot has been written in recent months about how the pandemic has highlighted the symptoms of a system that had already been showing its flaws, exacerbating social inequalities and highlighting the cost of progressive and wild privatization. The great European urban centers, abandoned by tourists, have shown the limits of a cultural policy reduced to a “showcase” for quick and fast looks, dangerously associating production and cultural use. A process already reported by Lefebvre that defining the possibilities of the urban came to defi- ne the three categories of: isotopia, an urban environment and its constituting itself as the same recognizable place; heterotopia, the contrast marked between more inhabitants of the places, through a continuity space given by sutures; utopia, a space no longer linked to any “imagined abstract”1, but real, linked to a verticality that pushes towards the divine, the cosmos, but also - by opposite - to the abyss, the underground. A physi- cal space that is “concrete contradiction”2, presuming the “concentration of all that there is in the world, in nature, in the cosmos”.
The contradiction, the accumulation are also at the base of Stefano Non’s work, who proposes here an energy generator, a power plug that doesn’t take but gives, as the video suggests that we visualize approaching
the cell phone to the power plugs “Watch out where power really comes”. The power of the Black Church
is absolute, like the cult of Dea Atalanta told in the podcast that accompanies the exhibition and that reads: “Take or leave, we have taken and sometimes take”. A story which describes a day of violence, outside the stereo-types associated with the place-stadium. Heterotropy is revealed in the street fight, where the rhe- toric of utopian rebellion is wiped out, “rebellion is the only dignity of the slave” sings Lord Bean in Quale ordine. With violence, that attacks conventions and flag beliefs, we return to the “carnal ritual” of the body, the only answer to the impossible “return to earth” of the society that surrounds us. Space Powered by Non follows a logic not different: a brutalist totem that creates antimatter, the opposite of matter, its antithesis. Antimatter, like Lefebvre’s utopia, is not a wishful idea, but a fundamental component of reality composed of matter and its opposite. The structure that stands at the center of the space refers to the hypertechnological systems adopted for the production of anti-matter, but he does it with a scrap, or as the artist himself declares:
I play dirty: physics has managed with enormous efforts to produce minimal amounts of antimatter to clash with matter to generate energy with a great efficiency, the annihilation of matter with antimatter produces about 70 times the energy produced by nuclear fusion of hydrogen to helium and four billion times the energy produced by the combustion of oil, but to produce a gram costs 25 billion dollars. BC Energy company produced one kilo, enough to power the entire block for the duration of the show. It’s true, it will.
Stefano Non produces new energy for a neighborhood, Isola, a symbol of Milanese creativity, often presented through hypster stereotypes and generalizations. The antithesis of this urban representation is Spazio Gamma: a place to produce energy by rethinking the basis of the dialogue around the contemporary: no more event, but progressive human construction of collaboration of the parties and people involved in each presentation, exhibition, program. In this case too, the exchange with eastcontemporary was essential to sharing visions and objectives.
The impulse beyond the stereotype, the discussion of reality itself, passes through matter and its opposite; through the urban - understood as the regulation of social groups - and its opposite. A vision where “good and bad”, which are “human categories”4 no longer exist, or at least are open to discussion of their simplified divi- sions. The same discussion that Vasiliy Sumin also carries out in the installation Station YE5, a scientist highlights the elements of continuity between the extreme Russian suburbs, the development of terrestrial life forms and the continuous evolution of the cosmos. The fondamental elements of the landscape of Nizhny Arkhyz - the village in the Caucasus where Sumin’s video was filmed - are two giant telescopes, the largest ever made in modern times and holders of the record until 1993. Around these two symbolic elements a community of scientists was built, in close contact with the dissidents who were looking for a space for their independence in the remote area5. The village of Nizhny Arkhyz becomes the pretext to rethink the social categories of modern and contemporary Russia, its communication and social devices. The words of the scientist - protagonist of the video - are married with the hypothetical dialogue between the two telescopes and the stars, the infinite time of the Cosmos speaks to us of the cyclic time of nature, the rhythms and the rules of social life are subjected to the scrutiny of their opposite: silence, solitude, observation. All voted to the altar of an energy that is no more the one understood and known on the earth, but an obscure energy that, undisturbed, continues to act in the expansion of the cosmos. The vision of the big (the two telescopes), of the indefinitely big (the cosmos heard by the telescopes), of the small (the individual) and of the microscopic (the spores in the woods) coexist in a story in which we are perpetually suspended, where the judgment on modernity, society and its forms is continually questioned and problematized: the space that surrounds us extends and takes on new meanings only it dialogues with the Cosmos. So, return to Lefebvre and his idea of “utopia”, present in the incredibly high and distant, but also in the deep, in the underground.
From the sub-world comes also Marco Ceroni’s alligator: a monstrous tail built from the memory of a torn tire on the road. In technical terms, the inner part of a tire - the part that absorbs shocks and loads - is called the “carcass”. And what is the tail we see before our eyes if not the carcass, the rest, of an animal that cannot be shown in its integrity? The alligator of urban legends is evoked by the title, Lacoste: it re-emerges from the background, shows its repellent fascination. In Lacoste we encounter the Lacanian idea of pleasure, as something connected to animality, to the destruction and consumption of the object enjoyed. In short, pleasure, true driving force of the consumer society alluded to in the title, appears in the tail of the alligator-cover. A half-being, whose totality we can only imagine, that allows us to overturn the idea of “good and evil”, of “beautiful and ugly”, of reality and fantasy.
With these artists we are in front of an idea of the fantastic that is subjected to its opposite: the concrete. And if in reality matter and anti-matter destroy each other (generating energy), in Fantastic Cosmos concrete and fantasy produce a research that that exceeds the definitions of participatory art, committed, social, radi- cal art to move in a still uncertain ground, but heralding new creative energies, a “concrete contradiction” as Lefebvre would have loved to call it.