The end is nigh? Rappresentare la fine del mondo

 

SONO INTERVENUTI:

_Leonardo Lippolis, autore de 'Viaggio al termine della città. Le metropoli e le arti nell’autunno post-moderno', Eleuthera edizioni
_Alessandro Lucera e Alessandro Palmieri, traduttori de 'Esiste un mondo a venire? Saggio sulle paure della fine' (D. Danowski, A.Viveiros De Castro) e de 'La caduta del cielo: parole di uno sciamano yanomami' (D. Kopenawa, B. Albert) edizioni nottetempo
In dialogo con: Stefano Non (Spazio Gamma), Marco Paltrinieri (Discipula)


Puo' esistere un mondo senza noi o un noi senza mondo? Quesiti ai quali la ragione non può dare una risposta ma che non può astenersi dal porre.
L’attualissimo dibattito internazionale sull’epoca dell’antropocene configura ipotesi di incertezza per il futuro della specie umana causata da trasformazioni iperoggettive in grado di condizionarne completamente l’essenza. Il futuro prossimo, nello spazio di poche decadi, diviene imprevedibile, se non addirittura inimmaginabile al di fuori degli scenari della fantascienza o delle escatologie messianiche.
La scala dei cambiamenti in atto costringe il suo artefice, l’uomo occidentale, a periodizzare nuovamente la Storia, considerando la comparsa della nostra specie sul pianeta come un evento recente, così come l’idea di civiltà (agricoltura, città, scrittura); suggerendo che l'umanità stessa sia un accadimento di passaggio, un evento improvviso e devastante nella storia del pianeta prossimo a scomparire più velocemente dei cambiamenti che ha suscitato nel regime termodinamico e nell'equilibrio biologico della Terra.
La nostra specie ha saturato il mondo con la sua presenza, spostando equilibri energetici millenari in un breve ciclo iniziato con gli albori della modernità e proseguito durante la civiltà industriale a matrice fossile. Lo slittamento è tanto più acuto quanto più aumenta la densità della sua presenza: è nella metropoli la cartina di tornasole di un processo di accelerazione che pare inarrestabile.
Inquietudini che gli artisti hanno avuto il merito di intuire per primi, trasformandole in linguaggio e conseguentemente in immaginario, offrendoci la possibilità di percepire la fine del tempo come una frontiera da attraversare piuttosto che un destino inevitabilmente tragico.

 

 

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